Signore Gesù, che tanto soffriste per la salvezza nostra che per nostro amore voleste divenire l’Uomo dei dolori, deh volgete a noi i Vostri occhi benigni e misericordiosi!

Nulla Meritiamo, e vero per i nostri peccati, per le nostre ingratitudini; ci riconosciamo anzi più che di grazie degni di castighi e confessiamo che finora siete stato troppo buono e indulgente con noi. Ma che faremo, o Gesù, se voi ci abbandonerete nelle mani della divina giustizia? Oh no, non vogliamo disperare di noi e delle nostri sorti! Alziamo a voi, o Gesù, gli sguardi confidenti.

I vostri dolori, le vostre piaghe, le vostre spine, il vostro sangue, la vostra morte sono la nostra unica e suprema speranza. Non vi siete fatto Uomo per noi, per compatirci, perdonarci e salvarci? O Redentore divino, che adorato e invocato sotto il titolo di Ecce Homo ci avete finora con infinita misericordia beneficati e tante volte liberati dai rigori della divina giustizia, non ci negate oggi la grazia che umilmente imploriamo.. Fatelo, o Gesù, non per noi che nulla meritiamo, ma per gli innocenti bambini a voi tanto cari; fatelo per le anime sante che vi amano; fatelo soprattutto per l’amore che portate a Maria Santissima, alla Madre vostra, che e pure la Madre di noi poveri peccatori.

Si, concedi la grazia che vi cerchiamo, e noi riconoscenti e grati, lasceremo il peccato causa di tanti mali, e vi ameremo, o Gesù, di vero e filiale amore, vi ameremo sempre sino all’ultimo respiro della vita.

O Gesù, o Gesù, abbiate misericordia di noi e di tutti! Soccorreteci e salvateci nelle presenti angustie; e noi, ve lo promettiamo, sempre saremo vostri in terra, per essere esternamente vostri un giorno in Paradiso.

Così sia.

 

(100 giorni di indulgenza)

Da quando la statua del S.S. Ecce Homo è stata esposta in chiesa alla venerazione dei fedeli, di giorno in giorno si accrebbe e si estese la devozione dei fedeli che sempre più numerosi accorrevano per implorare grazie di ogni genere.

La statua prodigiosa è conservata nella nicchia e solo in circostanze eccezionali (come ad esempio nel 1900, anno santo durante il quale la statua rimase nella chiesa matrice 15 giorni) viene rimossa o per essere esposta in chiesa o per essere portata in processione penitenziale e festosa al paese. Ciò avviene quando l’intera popolazione implora grazie specialissime o vuole ringraziare per essere stata scampata da gravi calamità come terremoti, siccità, alluvioni, infestazioni, ecc. Da oltre un secolo si è consolidata la tradizione di celebrare una grande solennità ogni sette anni durante il mese di agosto, portando in processione la sacra immagine a Filippa e a Mesoraca, facendola sostare nelle rispettive chiese principali per un giorno ciascuno. Durante questo evento vengono svolte anche manifestazioni non solo religiose ma anche culturali, per dare spazio a momenti di gioia e divertimento, accompagnate da spettacoli pirotecnici e serate musicali. L’attuale artistico basamento sul quale si sistema la statua, porta internamente la data del 1781. Molto probabilmente ne avrà sostituito qualcuno più antico come dimostrano gli eventi prodigiosi più importanti che ci vengono tramandati. 
Il primo risale al 1679/80 secondo cui un numero sterminato di cavallette si era sparso nel territorio intorno a Mesoraca e paesi vicini devastando tutto quanto si trovava nei campi; furono tentati tutti i mezzi conosciuti a quei tempi ma senza risultati positivi. Si ricorse allora all’ultimo tentativo. Tutto il popolo chiese che si portasse in processione al paese la statua del S.S. Ecce Homo e la fiduciosa preghiera non tardò ad essere esaudita. Prima ancora che la processione terminasse, moltissime cavallette caddero morte al suolo, altre si precipitarono nei due fiumi Riace e Vergari e altre si librarono in aria a grandi e dense nuvole per dirigersi e morire nelle acque del Mar Ionio.

Nel 1687 si ricorda un altro prodigio. Una prolungata siccità rendeva impossibile la coltivazione dei campi, le sorgenti si dissecavano, i fiumi non irrigavano più orti e giardini; uomini e bestie erano tormentati dalla sete e si temeva una terribile carestia. A richiesta del popolo si propose e si ottenne una processione solenne con la venerata statua.  Come questa, accompagnata da una folla immensa, si avvicinò al piazzale antistante la chiesa matrice, apparve all’orizzonte una piccola nube che man mano dilatandosi e coprendo tutto il cielo si disciolse in abbondante e benefica pioggia durata ben 24 ore, permettendo poi un ottimo raccolto; forse risale a questo prodigio il detto popolare, comune a Mesoraca e nei paesi vicini: “Con l’Ecce Homo l’abbondanza”.

Alcune decine di anni dopo un’altra calamità terribile si temeva dai mesorachesi e popoli vicini: una carestia causata dalle molte e continue piogge e nebbie. Erano i mesi di giugno e luglio del 1721: il grano e le altre messi già maturati nei campi cominciavano a infracidire. L’estremo rimedio anche in quel brutto momento fu nel portare la statua del S.S. Ecce Homo a Mesoraca, dove l’ultima volta vi era stata recata nel 1687 ci0è 34 anni prima; si stabilì la processione, d’accordo con i paesi vicini, per il 25 luglio. Di buon mattino si vide giungere al convento una folla innumerevole di persone paesane e forestiere.  Ascoltato il discorso di circostanza tenuto dal Padre Bonaventura da Marcedusa, maestro dei novizi, si disposero tutti in processione di penitenza, e si svolse in questo modo: andavano innanzi ben ordinate quattro Laicali Congregazioni dei paesi vicini, oltre a quella del luogo, tutte sotto una croce sola. Tutti i confratelli camminavano a piedi nudi, e portavano in capo una corona di spine; si distinguevano fra essi molti, che vestivano come si vuol dipingere San Girolamo, coperti cioè interamente di spine, i quali si battevano a sangue in varie parti del corpo; segno di asprissima penitenza. Veniva in seguito la Comunità religiosa dei nostri Riformati, i quali si battevano anch’essi sino al sangue, segno di severissima mortificazione. Seguiva l’altra religiosa famiglia dei Padri Cappuccini, coronati di spine  e con fune legata al collo, segno di edificante umiliazione .Succedeva il reverendo Clero secolare vestito a lutto, che ispirava negli altri modestia e vera devozione. Immediatamente a seguire veniva portata sopra un piedistallo la venerata statua, cui facevano corteggio d’ogni parte i nobili e principali, paesani e forestieri, i quali oltre a portare anch’essi sul capo una corona di spine, tenevano in mano grandi torce di cera. Da ultimo era tutto l’affollato e confuso popolo; nobili e plebei, dame e povere contadine, bambini e anziani di ogni condizione e di ogni età; e tutti seguivano la processione piangendo e implorando dal S.S. Ecce Homo la sospirata grazia. La processione si svolse con ordine e senza disturbo, anzi (mirabile a dirsi), la statua essendo accompagnata da un luminario di 326 libbre di candele accese, con stupore e meraviglia di tutti, in tutto il lungo viaggio, non se ne smorzò una sola (P. Daniele da Sersale, Cenni storici.. Venezia 1883, pag. 35 a 38).

Furono tanti i fatti prodigiosi verificatisi in quel giorno: furono liberate molte persone, che da più anni erano invase da spiriti maligni. La prima fu Isabella Fabiano, di Cerva (Petronà); poi Fiore Ungaro, Isabella Natarile, Vittoria Jerardo e Suor Rosa Curto, tutte di Petilia Policastro. Oltre di esse un’altra donna dello stesso paese, di cognome Manfredi, fu sanata di un braccio interamente paralizzato.In ricordo di quanto avvenuto fu allora stabilito che ogni anno si celebrasse una festa speciale in onore di Dio Flagellato preceduta da un novenario.In serata, durante la processione di rientro, una persona fu liberata da spiriti maligni ed un’altra venne guarita quando si stava per giungere davanti la porta della chiesa, infine, mentre si giungeva al convento, venne perfettamente guarito un bambino di Marcedusa, deforme e storpio a mani e piedi.

Anche il 14 aprile il S.S. Ecce Homo manifestò in modo mirabile la sua potenza divina concedendo la pioggia dopo un periodo di desolante siccità. Il cielo fu visto coprirsi di nubi nella mattina stessa in cui si stava per portare a Mesoraca la divina immagine, tanto che la processione sembrava non potesse svolgersi. Ma quando la prodigiosa statua fu sulla porta del santuario per uscire, la pioggia come d’incanto cessò permettendo il pieno svolgimento della processione. Come questa giunse dopo due ore al paese e il S.S. Ecce Homo entrò nella chiesa matrice, la pioggia, come a comando ricevuto, riprese a cadere e continuò a scendere tre giorni sulle aride campagne. A tutti parve di toccare con la mano la potenza di Colui che è il padrone degli elementi.

L’afflusso sempre più consistente di fedeli devoti suggerì ai frati di realizzare una grande e decorosa cappella da dedicare unicamente al S.S. ecce Homo. 
L’ampia e artistica cappella si apre con un grande arco a tutto sesto al centro della chiesa. Ha forma ottagonale e si presenta in un barocco più sobrio di quello della chiesa. Fu edificata attorno al 1780 e ristrutturata e abbellita con marmi nel 1953. 
Fu decorata una prima volta da Salvatore Giordano nel 1780. Un’ altra decorazione più completa in smalto e fogliette d’oro zecchino fu eseguita tra il 1909 e il 1910 dai fratelli Ranieri di Soriano Calabro; l’ultima decorazione si deve a Guido Faita nel 1979. Sulla parete di fondo è situato l’unico altare barocco ornato con fregi e testine d’angeli. Sopra l’altare, in una piccola nicchia, fiancheggiata da quattro colonne, è collocata la statua del S.S. Ecce Homo; sul fastigio dell’altare vi sono angeli che sostengono uno stemma sul quale è dipinto a grandi caratteri "Ecce Homo"
Il pavimento, in marmo di Carrara, è del 1914. Sulle pareti della cappella, in finto marmo, si possono ammirare sei quadri incorniciati a stucco, ad opera dei pittori Francesco Giordano (1752) e Pasquale Griffo (1835), raffiguranti: 

- Gesù nell’orto del Getsemani; 
- Il bacio di Giuda; 
- Gesù davanti al sinedrio; 
- Gesù davanti a Pilato; 
- La flagellazione alla colonna; 
- L'incoronazione di spine.

Il centro della cupola è dominato dall’effige dello Spirito Santo sotto forma di colomba ad ali tese, da cui partono dei fasci dorati che si irradiano fino alla trabeazione. 
Anche qui, come nella chiesa, troviamo una fascia con fondo dorato che corre per tutta la cappella da sinistra a destra e porta la scritta: “CORONA SPINEA AC PURPUREA ECCE HOMO POPULO INCREPANTI PILATUS OSTENDIT” Pilato mostra al popolo tumultuante l’Ecce Homo con una corona di spine e una veste di porpora
Di recente, la nicchia dove è collocata la statua, è stata dotata di un impianto d’illuminazione che regala al visitatore un’immagine molto più luminosa ed affascinante del S.S. Ecce Homo.

La veneratissima statua in legno a mezzo busto è giustamente ritenuta un capolavoro di arte e di fede. Ciò che colpisce subito chi la guarda è l’espressione divina degli occhi e il volto luminoso da cui traspare un sentimento di intima gioia.   L’autore della insigne e prodigiosa scultura fu Fra Umile Pintorno da Petralia che scolpì l’immagine intorno al 1630 in legno di tiglio dipinta al naturale e ricavata da un tronco abbattuto da un tuono. La statua raffigura Gesù flagellato e coronato di spine.

Secondo la leggenda riportata dal Padre Guagnano Nitti, nell’opuscolo “Sul Convento del S.S. Ecce Homo in Mesoraca” (Roma 1913, a pag. 23-24), si racconta: “Dicesi adunque, che giunto frat’Umile nel convento dé riformati di Mesuraca, chiese ed ottenne una cameretta isolata, lontana da ogni rumore, nel dormitorio inferiore.
Ma neppur quello poteva essere il luogo atta al effigiare Gesù in uno dé momenti più affascinanti della sua passione; poiché le visite dé frati e dé gentiluomini mesurachesi distoglievano il pio artista dalle sue profonde meditazion
i. E allora si rinchiuse nell’ampio sotterraneo ch’è in chiesa, avanti l’altar di San Pasquale, dove, forse, in quel tempo si conservavano le reliquie dé religiosi morti in fama di santità, e che in appresso fu indegnamente ridotto a sepoltura comune.

Lì fra Umile abbozzò la statua, e poi in ginocchio cominciò a modellarla su l’esemplare divino ch’ei teneva presente nella mente e al cuore, nella contemplazione del quale disfacevasi in copiosissime lacrime.
Il giorno in cui doveva dare gli ultimi tocchi al bel volto appassionato dell’Ecce Homo, il santo religioso si comunicò, e scese tutto solo nella stanza sotterranea. Vi rimase l’intera giornata in ginocchio, toccando e ritoccando la sua opera. Ma gli occhi non prendevano mai l’espressione del tipo ideale veduto nelle ore di meditazione
E fra Umile pregò allora fervidamente gli angeli suoi tutelari, perché l’aiutassero a compiere quell’immagine del buon Gesù, ch’egli peccatore aveva indegnamente osato di scolpire.
E gli angeli accolsero l’umile preghiera del santo artista. Gli angeli diedero l’espressione divinamente bella a quegli occhi; e sono essi che portano ogni giorno, su le loro candide ali, davanti al trono del Padre celeste, le preghiere che si effondono innanzi la statua del S.S. Ecce Homo”.

L’espressione vera della sofferenza e del corpo flagellato è concentrata sul volto che suscita profonda pietà. Gli occhi aperti e penetranti esprimono un senso di perdono, serenità e amore. Nel 1993, dopo oltre tre secoli e mezzo, la statua fu portata per un restauro a Cosenza e venne esposta in una mostra. Coronò il ritorno della venerata immagine (15 maggio 1993) al santuario una solenne concelebrazione all’aperto, nel piazzale antistante la chiesa, colmo di fedeli accorsi per il suo rientro. La devozione  al S.S. Ecce Homo crebbe e si diffuse in breve tempo; le cronache registrano grazie e miracoli ottenuti dalla fede dei tanti devoti.